"C'era una volta il Re di un piccolo regno. I suoi sudditi lo adoravano, la sua famiglia lo amava, e il suo esercito lo rispettava. Era un re buono e giusto.
Vennero però i Barbari dalle terre aride e senza frutto, in cerca di cibo, oro e sollazzo per le loro perversioni. Dove camminavano l'erba non cresceva più, la legge si disfaceva e il caos dominava. Raggiunsero quindi il regno del buon Re, cercando di penetrare le solide mura e pregustando il sapore della vittoria. Ma le mura del regno erano salde, i soldati provetti, e i Barbari suonarono la ritirata con grande vergogna.
Incapaci di vincere con la forza, usarono l'inganno: si finsero mendicanti, venuti da terre lontane e con bambini malati nei loro carri. Il re ebbe pietà di quella povera gente, e li fece entrare. Tuttavia dai carri non uscirono infanti infermi, ma nerboruti con asce e spadoni, pronti a mettere a ferro e a fuoco il Regno. I soldati furono colti impreparati, uccisi a tradimento e impalati sulle loro stesse picche. I bambini furono calpestati, le mogli violate, i vecchi annegati nelle latrine, i segugi sgozzati e divorati. Neanche la famiglia reale scampò a questo incubo: la Regina e la Principessa furono passate prima tra i leader stranieri, poi tra i sottoposti, fino all'esaurimento della mente e del corpo. Il re fu spogliato delle sue vesti, incatenato al suo trono, vestito solo col suo mantello e con una maschera da prigioniero.
I barbari lo trasportarono con tutto il trono su una pira in pubblica piazza, gli lanciarono sassi, gli diedero frustate, gli orinarono addosso e lo umiliarono in modi sempre più indecenti. Infine, quando decisero di essersi stancati di questo giocattolo, diedero fuoco alla pira e iniziarono festività orgiastiche attorno al re che urlava, consumato dalle fiamme. Tramontato e risorto il sole, i barbari erano allo stremo delle forze, e riposavano ignudi l'uno sopra l'altro. Tuttavia la fiamma che ardeva attorno al re non si era ancora spenta, e non poterono fare a meno di deridere l'ostinazione del sovrano anche nel suo spirare. Non potevano sapere quanto questo fosse vero.
L' anima del re aveva perso ogni umanità, e non era ascesa né discesa né era stata purificata dal 13, ma stava ancora bruciando nella fiamma della furia, ormai nera dall' odio, ancorata a quel corpo quasi fosse anche lei in catene. Uno dei barbari si accorse che la maschera di ferro sul volto del re si era in parte fusa, formando nella parte sopra gli occhi delle punte verso l'alto, quasi come fosse una corona. Un altro urlò quando gli occhi del sovrano si aprirono, rossi come il sangue o il fuoco più vivo. Il Re cominciò ad agitarsi sul suo trono, ancora incatenato, e a lanciare maledizioni sugli invasori con la voce di colui che aveva toccato il mondo dei morti e aveva deciso di tornare in quello dei vivi.
Gli invasori si misero in guardia prendendo le loro armi e rivolgendole verso il Re, spaventati da questo orrore. Tuttavia il Re era ancora incatenato, e non poteva fare nulla se non inveire contro i suoi carcerieri. Non fu lui a spargere sangue quella mattina, ma il suo popolo. Intrappolate col re in quel vortice di odio, le anime dei sudditi tornarono nei loro corpi, e accesero anche in loro la fiamma della vendetta.
I soldati si estrassero le picche dal corpo e le lanciarono contro i Barbari, trapassandoli e ancorandoli al suolo; le donne si alzarono e dalla loro schiena spuntarono lingue di fuoco come ali, rendendole potenti valchirie, brandirono le armi dei loro mariti e figli seminando morte tra le fila degli invasori. I bambini furono avviluppati dal desiderio di vendetta dei genitori, e diventarono conduttori di questo fuoco per ardere i loro carnefici. Gli anziani presero i loro bastoni e li fissarono a terra, facendo germogliare radici di alberi che bloccarono la fuga degli abusivi. I cadaveri dei mastini rigenerarono la loro carne, anche se non nella loro forma originale ma in una distorta dalla loro sete di sangue, con mandibole divise e tre file di denti aguzzi, che usarono per dilaniare le carni di coloro che li avevano divorati.
Il massacro durò fino a sera, e la città si era ormai tinta col rosso del sangue dei Barbari, colore che ora si rispecchiava anche nel cielo e nel sole rosso al tramonto. Le anime dei defunti non andarono all' inferno e non furono depurate dei loro peccati, ma vennero bruciate e usate come carburante per le Fiamme Eterne che ancora oggi bruciano nella città, e sono fonte di potere per il Nostro Signore.
Il regno non era morto: vi erano ancora soldati, mogli, figli e anziani, che si inginocchiavano davanti al loro Sovrano, sul suo nuovo trono ardente. Accanto a lui la moglie e la figlia, con le vesti di corte bruciate e quattro paia di ali infuocate sulla loro schiena. I mastini ululavano al cielo, quasi esortando gli Dei ad ammirare un loro nuovo pari. Il Re continuava ad essere incatenato e ad inveire, poiché la sua anima consumata non poteva fare nient'altro.
Così il Re Incatenato venne elevato in uno dei 20 Troni, e il neonato Regno Cremisi venne trasportato tra le Alte Sfere per continuare ad essere la sua dimora. La sua corte e il suo popolo continuarono ad essere suoi servitori ed emissari, ed il regno continua ancora oggi attraverso le preghiere di noi sudditi in terra.
Mi rivolgo a voi, oppressi e incatenati da catene del fisico o dell'anima, rivolgete le vostre preghiere al Re, e sarete ascoltati in vita. Rivolgete le vostre ultime parole a lui, e sarete suoi servitori nella morte, seguendo il Suo volere di vendetta. Poiché ci sarà sempre Ordine nel Caos, Libertà per gli Oppressi, Vendetta per gli Offesi, Vita dopo la Morte, se pregherete il Re in Catene."
- Dal testo sacro della religione Cremisi, "Le Fiamme della Vendetta"